Donne, madri e lavoro: cosa s’intende quando si parla di motherhood penalty?

Che cosa s’intende con l’espressione “motherhood penalty”? Quali misure adottare per contrastare il fenomeno? A queste e ad altre domande risponde Riccarda Zezza, CEO di Lifeed e autrice del libro “Maam. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne”

“Il mondo del lavoro, per come lo abbiamo sempre inteso, è un ciclo continuo: entri per rimanerci fino alla pensione. Quando le donne hanno iniziato a lavorare in massa, negli anni Settanta, hanno introdotto un elemento di discontinuità: la maternità. E la cosa ridicola è che questa discontinuità viene percepita come un problema”.

Riccarda Zezza è una professionista, originaria di Napoli, che ha vissuto per molti anni all’estero. Nel 2014 ha pubblicato il libro Maam. La maternità è un master che rende più forti uomini e donne (scritto insieme ad Andrea Vitullo). Oggi è CEO di Lifeed, piattaforma di apprendimento che porta alla luce e valorizza le competenze soft che derivano dalle transizioni proprie della vita di ogni essere umano e dalle attività di cura, come la genitorialità, l’accudimento di una persona anziana, il superamento di una crisi.

“Nessuno, prima di diventarlo, mi aveva detto che essere madre è bellissimo”. Ecco perché discutere di motherhood penalty non può che richiedere una riflessione su come la narrativa di oggi presenti l’essere genitore con una sbrigativa fotografia in bianco e nero. Senza sfumature.

Cos’è la motherhood penalty: definizione e numeri di un fenomeno complesso

Quando si parla di motherhood penalty, o child penalty gap, si fa riferimento all’insieme di penalizzazioni o discriminazioni, non solo retributive, subite dalle madri lavoratrici. Esse, infatti, vengono spesso percepite come meno competenti e dedite al lavoro, soprattutto rispetto agli uomini e alle colleghe senza figli, hanno una minore probabilità di essere assunte e promosse e percepiscono salari più bassi.

Per inquadrare meglio l’ampio e complesso fenomeno della motherhood penalty è utile far riferimento ai dati raccolti da Save the Children nel 2022. Per gli uomini italiani di età compresa tra i 25 e i 54 anni il tasso di occupazione è dell’82,7%. Nel caso in cui abbiano figli, la percentuale sale notevolmente, raggiungendo il 90,4%. Se si guarda alle donne, invece, l’occupazione registra il suo picco massimo (67%) tra coloro che non hanno figli, e quello minimo (56,1%) tra coloro che, invece, di figli ne hanno due.

Come molti altri fenomeni, anche quello del child penalty gap ha una forte connotazione geografica. “Secondo l’ultimo rapporto Save the Children/Ipsos, la percentuale di donne disoccupate con figli cambia notevolmente a seconda dell’area presa in considerazione: 62,6% nel Mezzogiorno, 35,8% al Centro e 29,8% al Nord”.

A incupire ulteriormente lo scenario contribuiscono i dati relativi all’occupazione femminile italiana, che secondo un servizio Studi della Camera del IV trimestre del 2022 è la più bassa dell’Unione Europea: 55% contro una media UE che sfiora il 70%. “Il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5%” – spiega Zezza – “e aumenta in presenza di figli, arrivando fino al 34% quando si tratta di madri di età compresa tra i 25 e i 54 anni con un figlio minorenne”.

Secondo poi i dati sulle dimissioni convalidate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che riporta la CEO di Lifeed, nel 2022 il 72% delle donne che si sono dimesse era anche madre. Si tratta di 44mila persone che nel 32% dei casi lavoravano in microimprese e nel 26% in grandi aziende, e che svolgevano prevalentemente mansioni da impiegate (92%). “Una donna su cinque esce dal mondo del lavoro dopo la maternità”.

Essere madre, dunque, può intensificare il pregiudizio che le donne già affrontano nei contesti lavorativi. Anche Riccarda Zezza, come milioni di altre donne, ha vissuto in prima persona questa forma di discriminazione: “Ho avuto due maternità, in due aziende diverse, e in entrambi i casi è stato un evento di grande vulnerabilità perché l’organizzazione ha avuto la possibilità di mettere in discussione il mio ruolo. La prima volta in cui mi è successo ho cambiato lavoro, la seconda ho cambiato proprio vita”.

Quali sono le cause?

“Quello della motherhood penalty è un problema articolato” – spiega Zezza – “che affonda le sue radici in un fenomeno estremamente ampio e diffuso: il disconoscimento della complessità della vita delle persone e, in particolare, delle donne. Si tratta di un pregiudizio che si subisce ancora prima di essere madri. Il solo fatto di poterlo diventare, infatti, significa avere spesso contratti più fragili”.

Questo testimonia una certa vulnerabilità delle persone, ma anche delle aziende, che in molti casi non si rendono conto di perdere risorse preziose. “Inoltre, il mondo del lavoro italiano è poco elastico; dunque, è più difficile rientrarvi dopo esserne uscite”.

Secondo Zezza, tra le cause principali del child penalty gap c’è un problema di natura culturale. “Ed è il più difficile da dimostrare con i numeri. Quando affrontiamo questo argomento, ci ritroviamo a sostenere conversazioni uguali a quelle che ci immaginiamo potessero avvenire 50 anni fa. Le madri sono isolate, vengono percepite come una categoria a parte, e questo fa perdere di vista il quadro generale, il legame che esse hanno con l’intera società. Questa segregazione ha effetti evidenti su molti fenomeni quantomai attuali, come la bassa natalità, l’invecchiamento della popolazione, la scarsa innovazione”. Un Paese che lotta contro la motherhood penalty ha molte più donne (e madri) occupate e una società più sana e solida. Secondo Zezza “il tasso di occupazione femminile è un ottimo indicatore del progresso di una nazione. Se è alto significa che quel Paese ha risolto questo gap, migliorando molti aspetti sociali”.

Soluzioni mirate come possibili risposte

Valicando i confini nazionali, però, si possono trovare diversi Paesi dai quali prendere spunto. “Me ne vengono in mente tre: la Germania ha fatto massici investimenti nei servizi per l’infanzia; la Francia ha deciso di far combaciare alcuni elementi della genitorialità con l’esperienza della società e, ad esempio, ha allineato i calendari aziendali con quelli scolastici; la Spagna da alcuni anni ha concesso uguale congedo parentale a entrambi i genitori. Il messaggio che deve partire è che fare dei figli non è un problema, anzi”.

In Italia, il congedo di paternità è di 10 giorni, quello di maternità di 5 mesi. E questa sarebbe soltanto una delle tante storture da correggere. “Bisognerebbe scattare una nuova fotografia del Paese, perché così come viene impostato oggi, il discorso “famiglia” non parla alle giovani generazioni. Le donne sono spaventate dalla maternità, quasi fosse una situazione capace di riportarle nel passato, a 30 anni fa”.

Per contrastare il fenomeno della motherhood penalty, ad esempio, si potrebbe partire dalla strutturazione di migliori misure di sostegno alla famiglia – come l’offerta di servizi di assistenza all’infanzia – e dalla promozione di sistemi di welfare aziendale per le madri lavoratrici. Queste politiche dovrebbero però essere accompagnate da un necessario cambio di mentalità, che porti all’abbandono degli stereotipi di genere che vedono ancora oggi le donne più inclini alla cura della propria famiglia e gli uomini più orientati al successo professionale.

Ciascun attore dovrebbe fare la propria parte, mentre spesso ci si concentra sulle singole realtà, in particolare quelle aziendali, sovraccaricandole di responsabilità. “La politica e i governi si muovono molto lentamente – forse perché i frutti di eventuali loro iniziative si vedrebbero tra 10 o 20 anni? – ma intanto le donne che restano a casa svolgono comunque un compito di natura sociale che è fondamentale per lo Stato, il quale dovrebbe rivolgersi a loro in modo mirato e concreto”.

Maternità uguale competenze

La motherhood penalty è, per certi versi, un vero paradosso della società contemporanea: la persona, quando diventa genitore, evolve e questo ha ripercussioni positive anche nel mondo del lavoro, poiché si acquisiscono skill che dovrebbero essere valorizzate.

“La leadership femminile è materna. E la maternità è una palestra, un’occasione di sviluppo”.

Secondo l’Impact Report 2023 di Lifeed, una survey annuale condotta su circa 1000 partecipanti ai percorsi Lifeed, il 97% delle donne scopre con la nascita di un figlio competenze che non sapeva di avere. “Tra le skill che sentono di aver allenato o rafforzato con questa transizione ci sono la gestione del cambiamento e l’autoefficacia (84% dei casi); le capacità relazionali come l’empatia (78%); e quelle legate all’innovazione (70%); oltre alla leadership (62%)”. Un lungo elenco che dovrebbe essere percepito dalle aziende e dalla società come una miniera di risorse. Chi sceglie di diventare genitore compie uno slancio verso il futuro e, nel farlo, oggi va forse controcorrente. “Abbiamo ancora spazio per cambiare la narrazione e di conseguenza le cose”.